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Descrizione

La Pieve di Mombaruzzo

I Romani, ad opera del Console Marco Pompilio Lenate, nell’anno 172 a. C. dopo aver sconfitto e decimato la tribù ligure degli Stazielli insediati a Caristo, deportarono come schiavi i sopravvissuti. In seguito, i Romani consolidarono la loro presenza fondando la colonia di Aquae Statiellae (oggi Acqui Terme) e successivamente la elevarono al rango di “Municipium ”.

Numerosi reperti archeologici ci confermano come nell'Alto Monferrato fossero fitte le relazioni commerciali fra le nostre genti con quelle della riviera ligure occidentale. Attraverso i passi dei Giovi e del Turchino le merci dei porti liguri raggiungevano i ricchi mercati delle Fiandre e viceversa. Con somma difficoltà venivano percorse strade poco agibili, il più delle volte malsicure per la presenza dei briganti, al punto che i pellegrini avviati verso Roma erano soliti stendere il testamento. Lungo le strade principali e secondarie sorsero le “mansiones”: queste grandi “stazioni”, oltre ad offrire una confortevole ospitalità al viandante, erano le residenze delle numerose persone addette al cambio dei cavalli ed alla riparazione dei mezzi di trasporto. Inoltre erano in grado di offrire gli essenziali servizi al viaggiatori, così da rendere meno arduo e faticoso il viaggio, prendevano inoltre vita abitazioni rurali, minuscoli centri di vita civile; la via più comoda da Acqui per raggiungere Incisa, Alba e Asti era la strada che passava nella valle del Cervino, dove sorse la Pieve di Mombaruzzo. Già dotata delle “mutatíones” di secondaria importanza, nella valle del Cervino sorse la Pieve, che per secoli svolgerà la sua attività pastorale fino a quando le scorrerie saraceniche obbligarono a risalire la collina. Nei secoli antichi il diritto di battezzare era esclusiva prerogativa della Chiesa Cattedrale della Diocesi, nel caso degli abitanti della Valle del Cervino il riferimento era Acqui. In seguito alla costante e consistente adesione degli abitanti alla fede cristiana nella Diocesi i territori vennero divisi in distretti chiamati “Pievi” (in cui operava la Plebe) e vi convergevano le popolazioni della zona per le sacre funzioni e l’amministrazione del Battesimo senza dover intraprendere il viaggio fino ad Acqui. Queste Chiese rurali “Pievi ” potevano contare su un crescente numero di abitanti, mentre le altre Chiese non fregiate di questo titolo erano classificate parrocchie secondarie o Rettorie, perché rette da un parroco sottoposto al Pievano, ossia all’Arciprete della Pieve, come, nel caso di Mombaruzzo, della chiesa di San Marziano, posta in Basalone.

La costruzione in fondovalle della Pieve

non era dovuta al caso ma va ricercata nella vicinanza della via di comunicazione, dalla vallata fertile e coltivata e, cosa forse più importante, dalla presenza del rio Cervino, un tempo ricco di acqua sorgiva dolce che scorreva limpida tutto  l'anno. Per non incorrere in sgradite sorprese la costruzione risultava abbastanza elevata dal predetto corso d'acqua, anche perché nella parte inferiore si presentava zona paludosa, mentre la selva rigogliosa occupava buona parte del terreno sovrastante. Sarà poi grazie al lavoro della servitù della gleba se queste terre verranno lentamente disboscate, dissodate, ed in certi punti livellate anche le “rocche ", pronte per impiantare i primi vigneti specializzati che ben presto si estenderanno su tutto il territorio collinare sovrastante la Valle del Cervino.

Su un vasto territorio costituente il “beneficio” della chiesa di S. Maria Maddalena “in Castello” a Mombaruzzo, la Pieve (o Pieve vecchia, così indicata fino al 1944), prima della scomparsa aveva ormai perso la sua funzione da secoli. Infatti, nel 1686, il nobile Maurizio Balzola di Terruggia nel viaggio da Bergamasco ad Acqui, nell’attraversare le terre di Mombaruzzo, in una dettagliata relazione del viaggio ebbe ad annotare che

“nel discendere che facevo la collina di Mombaruzzo, per dove si scopre Fontanile ed altre Terre, ed in fondo alla medesima collina, dove vi è la strada grossa, vicino ad una certa Chiesa rotta... ”.

Già un secolo prima, nel 1577, durante la Visita Pastorale, il Vescovo di Bergamo Mons. Regazzoni, nella sua qualità di Visitatore Apostolico ordinava all”Arciprete di Santa Maria Maddalena, fra le altre cose

si raccomanda di riparare la canonica e di rifarla adoperando la materia della Pieve vecchia ”

La Pieve di Mombaruzzo era ubicata in un punto di passaggio obbligato tra Mombaruzzo ed Acqui, così a differenza di altre pievi poste lontano dalle zone di transito (in modo particolare dal passaggio delle armate belligeranti), la Pieve di Mombaruzzo non sarà in grado di conservarsi nel tempo. Consultando i Registri catastali di Mombaruzzo del 1796, sotto la voce della Chiesa di Santa Maria Maddalena si legge che alla Pieve esisteva "Prato, Cascina e Chiesa rovinata ".

All’atto della demolizione della Pieve era ancora ben individuabile il perimetro della chiesa, in cotto, con l’abside rivolta ad oriente, come tutte le chiese romaniche, perché il sacerdote, quando officiava, doveva sempre essere rivolto verso il sorgere del sole. Oltre la Pieve, quasi attiguo, sorgeva il rustico, occupato dai coloni addetti alla lavorazione del fondo esteso per lungo tratto nel fondovalle, ormai in stato decadente, mentre, nei pressi delle costruzioni, troneggiava una Croce in ferro battuto trattenuta da un grande piedistallo, messa dai fedeli a guardia di un antico cimitero di cui nessuno conosceva l’esistenza. In seguito al trasferimento del fonte battesimale nella chiesa di S. Maria Maddalena fra le mura ben protette di Mombaruzzo, la Pieve perderà la sua principale funzione diventando una semplice chiesa.

 

 4 giugno 1731, in Mombaruzzo, durante le fasi della lunga lite fra i parroci locali sul percorso delle processioni, quattro testimoni: Antonio Maria Barosco, Antonio Bottino, Giulio Cesare Guasti e Michele Broido, tutti di Mombaruzzo con età compresa fra i 65 e i 70 anni, in una testimonianza giurata davanti ad un notaio affermavano che:

«Possiamo dire a V. S., come il signor Arciprete pro tempore di S. Maria Maddalena Chiesa Matrice di questo Luogo a nostro ricordo ha sempre avuta la sopraintendenza, e giurisdizione sopra tutte le Chiese Campestri esistenti in questo territorio, ed aver sentito dire da nostri Antecessori essere sempre stato il possesso di detta sopraintendenza il detto signor Arciprete pro tempore ad esclusione degli altri Comparochi di questo Luogo, come altresì saper, ed aver sentito dire esser la predetta Chiesa di Santa Maria Maddalena considerata per la matrice, tanto più che nella Massaria d'esso Benefìcio vi si trova ancor la Chiesa diroccata chiamata la Pieve, dove dicesi si radunavano li Popoli circonvicini a fare le Orazioni, e sentire gli Uffìzj Divini, al quel riguardo sappiamo, che il signor Arciprete Guala Presentaneo, come hanno fatto i suoi Antecessori esige canoni dalle Terre circonvicine, cioè Fontanile, Castelletto, Bruno, Maranzana e Quarante redditi annessi al detto Beneficio, e le cose suddette le sappiamo, per esser noi de' più vecchj del medesimo Luogo, ed aver sempre visto, e sentito dire praticarsi, e sapere quanto sopra abbiamo deposto, per essere ciò pubblico, e notorio, ecc,››.

Il trasferimento del fonte battesimale dalla Pieve in Mombaruzzo “in Castello ” non dovrebbe avvenire se non nel primo Trecento: esiste infatti una pergamena in cui l’Arciprete della Pieve di Mombaruzzo (“Archipresbitero Plebis de montebarutio”) viene citato in una causa iniziata con l’atto notarile di Oberto Testa di Molare, in data 5 ottobre 1298, sollecitata dall’Arciprete di Molare. Dal Laterano, in Roma, il Pontefice Bonifacio VIII, il 13 gennaio 1299, con una sua bolla sollecitava l'Arciprete della Pieve di Mombaruzzo alla restituzione dei beni illegittimamente sottratti, di cui non conosciamo la consistenza e la natura. La lettera del Pontefice venne consegnata il 27 aprile 1299 dall’Arciprete Rubeo, nella sua abitazione in Molare, all’Arciprete della Pieve di Mombaruzzo, ma si ignora l'esito finale della lite.

La chiesa Cuore Immacolato di Maria

Progettata dall’arch. Strina di Torino, la bella chiesa parrocchiale della frazione Cervino è dedicata al Cuore Immacolato di Maria. I lavori iniziarono ufficialmente il 9 dicembre 1945 grazie alla spontanea collaborazione di tutti gli abitanti della frazione che nelle ore libere si resero disponibili. Già l’anno precedente, in piena lotta partigiana, diversi carabinieri di stanza nel fondovalle a guardia della ferrovia, nelle ore libere dal servizio iniziarono a demolire quel poco che restava in piedi della Pieve vecchia e del rustico. Per sbancare il terreno, che si presentava elevato rispetto alle Vie Stazione e Savona, venne usata una gigantesca escavatrice mai impiegata in altri lavori nella vallata. Per la maggior parte delle strutture murarie vennero usati i mattoni cotti nella vicina fornace Zoccola.

Per il trasporto del materiale da costruzione venne formata una spola ininterrotta di carri e “tumbarè " per prelevare la sabbia dal Rio Secco, mentre la calce e il cemento giungevano alla Stazione su carri merci. Tutta la popolazione è stata encomiabile e piena di entusiasmo, sotto la guida di don Fausto quale propulsore ed infaticabile animatore di tutte le iniziative. Già vice parroco della parrocchia di S. Maria Maddalena in Mombaruzzo, don Fausto Pesce seguiva tutte le fasi di costruzione della nuova chiesa, per poi diventarne il primo Parroco. La chiesa non era ancora ultimata, ma la prima Messa venne celebrata nel 1947. Per la statistica ricordiamo il primo matrimonio celebrato nel 1950 con gli sposi Rosa e Carlo Betti. Si dovettero aspettare ancora tre interminabili anni per amministrare il primo battesimo alla neonata Maria Berta. Le prime cerimonie religiose si svolsero con vero spirito di sacrificio, al freddo, con un falò al centro della chiesa per dare una parvenza di tepore, sul pavimento ancora da completare. In seguito, finanze permettendo, si procedeva alla posa delle piastrelle del pavimento in cotto fiorentino, prodotte nella fornace di Impruneta (Firenze) su disegno dell’ing. Strina. Nel 1950 vennero sostituiti i banchi senza schienale con altri in faggio evaporato. Il Crocifisso e la balaustra, in ferro, sono opera del fabbro artigiano Giuseppe Lequio ed anche la Via Crucis venne realizzata in ferro, da Suor Pace, che si attenne fedelmente al progetto della Prof. Angela Berti

Le campane vennero collocate sul campanile molto più tardi, in sostituzione di un altoparlante.

Durante la Visita pastorale di Mons. Livio Maritano, Vescovo diocesano di Acqui Terme, avvenuta il 22 agosto 1982, venne solennemente consacrata la chiesa al Cuore Immacolato di Maria e nella fausta circostanza venne posta una lapide che ricorda ai posteri l°evento.

 

Alla fatica antica

Questo “monumento” dalla forma decisamente insolita, venne voluto e realizzato dal mombaruzzese Dott. Giuseppe Migliardi. Nel 1998, per rendere testimonianza, nel tempo, alle "antiche fatiche contadine L’opera è collocata in Via Stazione sulla piazza prospiciente la chiesa parrocchiale. Oltre alla bella dicitura, il disegno evidenzia una fase della vendemmia dove il contadino ha issato sulla schiena la “gerla” colma di uva appena raccolta. Sullo sfondo: a destra un vigneto che dal fondovalle si arrampica verso la sommità del “bricco”; alla sinistra Mombaruzzo “in Castello” con nella parte inferiore la villa Doglio ripresa dalla curva delle Saline.

La Cantina Sociale di Mombaruzzo

Ormai la grande calura dei mesi estivi era passata e le messi erano state raccolte, ora si pensava alla vendemmia ed alla vinificazione. Era una tiepida domenica autunnale quel mattino del 30 ottobre 1887 quando i 66 <> - o maggiori possidenti terrieri, - vincendo lo scetticismo proprio e quello delle mogli, si radunarono nella Sala consiliare del Municipio di Mombaruzzo e davanti al notaio Vincenzo Scovazzi “residente in Carpeneto, iscritto presso il Consiglio Notarile di Acqui”, sottoscrissero l'atto di costituzione della nascente Cantina Sociale Cooperativa di Mombaruzzo. Questa Cantina risulta la prima nata nel Piemonte ed è collocata fra le prime dell”Alta Italia. In poche parole è la num. 1. In una società dove viene sbandierato “l’importante è partecipare”, l'essere la più anziana cooperativa non rende solo orgogliosi i mombaruzzesi ma anche tutte le comunità vicine che nel tempo hanno conferito le loro uve. Certamente i primi tempi non sono stati molto rosei, in primo luogo bisognava convincere i Soci che le uve andavano consegnate tutte alla cantina, selezionando e scartando l’uva acerba, ammuffita, le foglie e tutto quello che poteva nuocere alla trasformazione in vino. Per reperire un locale idoneo, ampio ed accessibile, la scelta cadde sul vecchio complesso del Convento, ma l’esorbitante somma richiesta per l’affitto induceva la presidenza a prendere in esame la lavorazione delle uve in alcune fra le più capienti cantine dei Soci: anche se l’iniziativa non si presentava ottimale era pur sempre una soluzione interessante. Le vendemmie si susseguirono negli anni. I soci conferitori non erano tutti soddisfatti dell’andamento, anche perché il vinificare in piccoli e frammentari locali era un ostacolo non indifferente. La società resse fino agli ultimi anni dell’Ottocento, poi si sciolse. Non conosciamo le cause che portarono a questo evento, certamente le cause furono diverse. Infatti molti di coloro che aderirono alla società nel 1900 vinificavano in proprio. Poi alcune annate agricole particolarmente sfavorevoli, specialmente quella disastrosa del 1902, convinsero un gruppetto di viticoltori residenti nei vari paesi a ritentare la cooperazione. Questa volta si partiva col piede giusto, infatti reperito un sito idoneo nella Frazione Cervino di Mombaruzzo, venne costruita la cantina, chiamata pomposamente «El Cantinon» per distinguere questo enopolio da tutte le altre cantine disseminate nel Comune. Il terreno si presentava pianeggiante, idoneo a successivi ingrandimenti, equidistante dai paesi vicini, e cosa molto importante, la Cantina era posta a pochi passi dalla Stazione ferroviaria Asti-Acqui-Ovada- Genova dove lo smercio del vino si presentava particolannente vantaggioso. Così il 12 luglio 1903, ancora una volta i viticoltori si riunivano in Mombaruzzo e, con atto rogato dal notaio Delponte gli 11 sottoscrittori, consapevoli dell’ importante atto che si accingevano a compiere, gettavano le basi della rinnovata Cantina Sociale Cooperativa di Mombaruzzo che anno dopo anno aumentava sensibilmente le adesioni. Dalla costituzione del 1903, con 11 sottoscrittori, nel 1909 le adesioni erano 83 e comprendevano “particolari” di tutti i paesi che si affacciavano sulla Valle del Cervino. Nel 2003, ricorrendo il primo centenario della costituzione della Cantina in Frazione Cervino, la Presidenza volle festeggiare solennemente l’importante avvenimento, anche sul piano promozionale, con una serie di manifestazioni pubbliche con la presenza dei Soci, delle Autorità, della televisione e della carta stampata. Con un programma particolarmente studiato dalla direttrice della Cantina, l’enologa Daniele Pesce, e dalla Presidenza, domenica 8 giugno 2003, già preceduta dalle manifestazioni della serata del sabato, venne ufficialmente presentata la pubblicazione storica sulla Cantina Sociale curata da Giuseppe Scaletta, cugino del defunto Presidente omonimo e nativo di Mombaruzzo. Presenti il Consiglio Direttivo, i Consiglieri, i Soci, (alcuni di questi vennero premiati per la loro longevità), gli invitati, un folto gruppo di clienti, i Sindaci dei paesi confinanti perché nella storia della Cantina tutte le comunità sono state interessate, i Parroci. Numerose le Autorità fra queste il sottosegretario On. Avv. Maria Teresa Armosino, il Presidente della Provincia Comm. Rag. Roberto Marmo, i due ex Senatori Cav. Gr. Croce Gianni Rabino e l'Arch. Dott. Giovanni Saracco. Fra gli invitati era presente il Dott. Federico Guasti, notaio in Milano il cui nonno Federico, nativo di Mombaruzzo, figura fra i principali sottoscrittori del 1887.
«Trovare un segno che rappresenti questa occasione di festa per la Cantina Sociale di Mombaruzzo e che ne esprima, in sintesi, I 'orgoglio di essere arrivati così lontano nel tempo come entità sempre viva ed in progresso per il bene del suo territorio, ha comportato una attenta ricerca che tenesse conto di tutti gli aspetti storici, culturali e sociali che la vicenda della Cantina esprimeva. È nato così questo “Logo” che ha, come segno fondamentale, il triangolo a base orizzontale che esprime la durevole stabilità delle nostre colline, l 'amicizia e la fratellanza delle popolazioni che la abitano, l 'intelletto creativo delle persone che hanno operato nella cooperativa. L 'avvicinare e l 'intersecare i tre triangoli vuole sottolineare il forte legame che la Cantina Sociale di Mombaruzzo ha rappresentato per i Paesi che vi conferiscono le uve. Ne è nata così una nuova figura geometrica, più ricca e stimolante rispetto alla figura di base, in cui gli elementi che la costituiscono, simboli dei Paesi conferenti, non vengono limitati od annullati, ma contribuiscono alla compiutezza ed armonia del tutto››.

Al termine della presentazione venne inaugurato nei giardinetti della cantina il Monumento delle tre A, che vuol simboleggiare i tre paesi che attualmente conferiscono le loro uve: Mombaruzzo, Quaranti, Castelletto Molina, senza dimenticare San Rocco di Gamalero. L’opera è dell'autore Dedo Roggero Fossati e dell’Atelier “Tra la Terra e il Cielo” di Roberto Marmo della Marmolaser. Non poteva certo mancare l’ottimo pranzo che si è svolto nell’interno della Cantina. Riportiamo l’elenco dei Presidenti della Cantina Sociale di Mombaruzzo che si sono succeduti nella carica dal 1887, anno della nascita, fino alla celebrazione del Centenario.

1887 CROSETTI Giovanni

1903 CAVALLO Pietro

1931 LEONE Gerolamo

1932 MIGLIARDI Tommaso

1936 ROLUTI Carlo

1949 BARBANO Attilio

1950 ROBUTTI Giulio

1951 ROVEGLIA Stefano

1955 BRILLADO Gio Battista

1965 QUAGLINI Franco

1973 CALVI Pietro

1974 SCALETTA Giuseppe

1987 BERTALERO Francesco

 fonte: "iscrizioni antiche e moderne a Mombaruzzo nel Monferrato" di Giuseppe Scaletta

 




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